Castel Beseno
La più grande struttura fortificata del Trentino-Alto Adige si trova nel territorio del comune di Besenello, in provincia di Trento e oggi è una delle sedi del complesso museale del Museo provinciale del Castello del Buonconsiglio. E' Castel Beseno. Di origine medioevale, l’edificio ebbe una funzione difensiva, evidenziata sia dalla posizione strategica sia dalla massiccia struttura muraria. L'aspetto attuale, simile più a una fortezza di tipo rinascimentale, è dovuto alla presenza di tre possenti bastioni adibiti alla difesa con armi da fuoco e risale alla ristrutturazione realizzata nella prima metà del Cinquecento.
Fin dall'antichità, dalla sommità della collina, si poteva controllare la sottostante Vallagarina e l'accesso alla valle che conduce a Folgaria. Le prime notizie certe che riguardano la fortezza risalgono al XII secolo, allora feudo dei conti di Appiano, abitato da una famiglia di loro vassalli: i Da Beseno. La storia di questo edificio è piuttosto travagliata: intorno al 1200 infatti la chiesa trentina, in parte per acquisti, in parte per donazioni, diventa proprietaria di buona parte della struttura, ciononostante esso rimase sotto il controllo di due rami distinti della famiglia Beseno: quello di Enghelberto e quello di Odolrico. La rivalità tra le due fazioni portò a un decadimento prematuro sia di Castel Beseno che di Castel Pietra, su cui entrambe le famiglie vantavano diritti.
Nel Cinquecento, a seguito di un incendio, venne quasi completamente ricostruito e rinnovato, mutando il suo aspetto da castello medievale a quello di residenza rinascimentale, conservando però l'identità di fortezza difensiva ben armata. Le vicissitudini continuarono: alla fine del Settecento fu protagonista di un nuovo, sanguinoso assedio da parte delle truppe napoleoniche che vennero sconfitte dagli austriaci giunte in sua difesa. Da quel momento inizia un lungo periodo di decadenza e il castello verrà infine abbandonato nel corso dell'Ottocento, per essere infine donato nel 1973 alla Provincia Autonoma di Trento, che ne avviò il restauro per farne una delle sedi distaccate del museo del Castello del Buonconsiglio.
Castel Beseno ospita anche mostre temporanee, eventi enogastronomici come la festa del Moscato Giallo a ottobre e spettacoli e rievocazioni storiche sia in primavera che in estate.
Ecco il sito dove trovare tutte le informazioni per le vostre visite:
Carpasio, tipico borgo arroccato in Valle
Argentina, è un tipico esempio di architettura montana ligure: le case sono di
pietra, i tetti di ciappe grigie e il paese è un susseguirsi di carrugi stretti,
impervi. Intorno, la montagna e boschi di antichi castagni. Svetta sul paese il maestoso campanile
della Chiesa Parrocchiale di S. Antonino Martire, edificato nel 1404, ormai vistosamente
inclinato. Secondo
alcune fonti locali la sua origine dovrebbe risalire all'Età del ferro come luogo
di rifugio dei primi insediamenti umani. In epoca preormana si sono trovate tracce
di una postazione difensiva, quello che viene chiamato castellaro e che i
locali chiamano Rocca Castè.
S. Antonino |
La zona fu dominata
dai Longobardi dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente e fu il re Ariperto
II a cedere la parte del territorio della valle di Oneglia che comprendeva
anche Carpasio al pontefice Giovanni VII nel 706. Nel XI secolo, un altro papa,
Urbano II, assegnò il territorio alla diocesi di Albenga. Il borgo, alla fine
del XI secolo, venne compreso nella cosidetta Marca Aleramica (gli Aleramici erano
un'importante famiglia feudale di origine franca, i cui diversi rami si
stabilirono in Italia e governarono molte terre tra la Liguria occidentale e il
Basso Piemonte), fino alla dominazione dei conti di Ventimiglia, che
assoggettarono tutta la valle. La prima citazione ufficiale del borgo di Carpasio
risale a uno scritto del 1153, con il quale il vescovo Odoardo concesse al
signore del feudo di Lingueglietta, oggi frazione comunale del comune di
Cipressa, il diritto di riscuotere le decime.
I Carruggi |
In un
documento risalente al 4 ottobre del 1234, un terzo del territorio di Carpasio
fu venduto dal conte Oberto (conte di Ventimiglia e signore di Badalucco, altro
borgo di origine medievale della valle) a tre cittadini del luogo e il 24
novembre del 1259 fu il marchese di Ceva, un certo Pagano, genero di Oberto, a
cedere il feudo al Comune di Genova, rinunciando ai propri diritti feudali. Il 28
settembre 1399 il territorio carpasino fu ulteriormente diviso tra diversi
signori locali, ma legati ai conti intemeli.
Nel
mese di luglio del 1433 furono stilati i cosiddetti Statuti di Carpasio, ove si
stabiliva l'indipendenza politica e fiscale di Carpasio ma una ventina di anni
dopo, il conte Garspardo di Ventimiglia, vendette i diritti feudali del paese a
Onorato Lascaris di Ventimiglia, conte e signore di Tenda. La cessione,
avvenuta per la somma di 8.600 lire genovesi, causò non pochi contrasti
e incomprensioni tra gli altri pretendenti al feudo. Le continue controversie consentirono
infine la sua conquista da parte di Emanuele Filiberto I di Savoia, che divenne
l'unico signore del Maro e della contea di Tenda a partire dal 12 luglio 1575.
Gio
Girolamo Doria lo elesse a sede di marchesato nel 1590 mentre nel 1620 il borgo
entrò a far parte del principato omonimo dipendente dai Savoia. Ovviamente fece
parte del Regno di Sardegna e quindi anche la municipalità di Carpasio confluì
tra il 1801 e il 1803 nella Repubblica Ligure.
L’isolamento e
l’ambiente alpino hanno contribuito a conservare sul territorio di Carpasio le
tracce di un’antica cultura pastorale. Cosa si può fare nel piccolo borgo ligure? Una bellissima passeggiata che, dalla Piazza "Nuova" e attraverso secolari castagneti,
porta fino in località "Trunette". Qui il torrente ha scavato un
profondo orrido lungo circa centocinquanta metri. Le sue acque trasparenti
assumono un colore irreale, dovuto ai raggi solari filtrati dalla spessa e rara
vegetazione spontanea. Uno spettacolo unico nel suo genere.
Da vedere anche
l’antico
Forno Comunale, il più grande della Valle Argentina, utilizzato per la cottura
del pane, enorme visto che conteneva fino a un migliaio di pani in un’unica
infornata e il Museo della Lavanda, che racconta la storia del paese e dei
suo abitanti. Questa pianta rappresentò per anni la sola e più redditizia fonte
di reddito, tanto che i carpasini non si limitarono a raccogliere quella
spontanea, ma cominciarono a coltivarla. Un gruppo di essi, nel 1906, si riunì in
una cooperativa di coltivatori, raccoglitori e distillatori per la
commercializzazione dell’essenza.
Oggi si possono acquistare diversi prodotti tipici della
zona, a parte la lavanda: il pane d’orzo, miele, formaggi, olio e vino.
Ecco il link del Comune di Carpasio:
Comune di Carpasio
Il castello Pentefur
Il castello si trova su uno dei
due colli su cui sorge l'antica cittadina di Savoca. Siamo in provincia di
Messina, nella nostra bella Sicilia.
Savoca fu fondata, pare, nel 1134 da Ruggero II e si sviluppò proprio intorno all’antica
Rocca di Pentefur. L’antico abitato cominciò a svilupparsi dopo la caduta dell'Impero Romano quando,
durante il periodo bizantino, si trasformò in villaggio fortificato. Passò
sotto il dominio arabo nell’827, fino all’arrivo dei normanni nel 1072. Gli
Arabi la chiamavano Kalat Zabut (Rocca del sambuco) e ricostruirono
l'antico fortilizio. Oggi ciò che rimane sono pochi ruderi, sopra alla
collina che porta lo stesso nome e che domina il paesaggio: qualche tratto
delle mura merlate, alcuni resti di una torre trapezoidale e antiche cisterne
per la raccolta dell’acqua.
Antico portale |
Ruggero II D'Altavilla |
Soltanto nel
1386 il castello ritornerà definitivamente in possesso degli Archimandriti. Dal
castello partivano ordini per tutti i fortini e le torri di vedetta disseminate
sul litorale siciliano, a difesa di quelle incuriosi frequenti e devastanti dei
pirati barbareschi che infestavano il Mediterraneo. All'inizio del XX secolo, le torri rimaste
erano sei, oggi in perfetto stato solo tre. Cinque sorgevano sull'attuale
territorio di Santa Teresa di Riva, l'antica Marina di Savoca e sono: torre
Varata, torre dei Saraceni, torre dei Bagghi e torre Avarna. La sesta venne
eretta a Roccalumera, ed era chiamata torre di zia Paola, o torre Ficara.
Nel 1693 subì
gravi danni a causa di un violento terremoto, quindi la corte Archimandritale,
da allora, preferì risiedere a Messina. Nell’ultimo ventennio del XVII secolo,
esso venne abbandonato e cominciò la lunga agonia del fortilizio: per decenni gli
abitanti di Savoca lo utilizzarono come una cava a cielo aperto, smontandolo
pietra dopo pietra per edificare le case della cittadina.
Antiche cronache
raccontano che, oltre alla costruzione fuori terra, il castello avrebbe nel
sottosuolo passaggi segreti e cunicoli che avrebbero permesso ai suoi abitanti
una fuga sicura. Forse si potrebbero trovare anche testimonianze archeologiche
per fare luce sulle sue origini. Da alcuni anni sono stati intrapresi lavori
per assicurare l'accesso e la fruizione pubblica guidata del sito, a cura della
famiglia Nicòtina che ne è proprietaria dal 1885.
Castagneto Carducci
Grazioso comune toscano della Costa Etrusca, immerso nel cuore della Maremma Livornese, su una
collina che domina mare e terreni agricoli, ricco di storia, di natura, di
artigianato, di suggestivi angoli pittoreschi fra vicoli lastricati, piazze e
terrazze che sembrano uscire dalla tela di un pittore.
Questo borgo medievale sviluppato intorno al
Castello della Gherardesca, in origine si chiamava Castagneto (ovvero bosco di castagni) Marittimo, per la sua
vicinanza al mare.
Fu ribattezzato Castagneto Carducci nel 1907 in
onore del Poeta, Giosuè, che visse qui alcuni anni della sua infanzia.
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh non facean già male!
(Davanti a San Guido -
Giosuè Carducci)
Numerose le manifestazioni
che scelgono come cornice le bellezze di Castagneto: le rassegne
enogastronomiche “Castagneto a Tavola” e “Calici di Stelle”, il “Festival
internazionale della musica” o il “Gran Premio Costa degli Etruschi” di
ciclismo professionistico a livello mondiale.
A metà strada tra il borgo e Castagneto Marina, si trova Donoratico, vivace località marittima
che offre spiagge e servizi, nota per la costruzione di imbarcazioni da competizione
e da diporto.
Le
prime testimonianze scritte del suggestivo castello, simbolo di questo piccolo
paese dell’entroterra ligure, risalgono al 1117. In esso vengono citati come
proprietari di Conti di Ventimiglia. Il castello subì diverse trasformazioni
lungo i secoli: il primitivo impianto feudale, difeso alla fine del 1200 dalla
torre circolare, venne ingrandito ed incluso nel XIV secolo in una cinta
muraria più ampia. Nel 1270 il feudo e il castello vengono acquistati da Oberto
D’Oria, fondatore della celebre dinastia e antenato del più famoso Principe
Andrea D’Oria (che dominerà, con la sua figura leggendaria, la Repubblica di Genova
durante il Siglo de Oro, il secolo d’oro della Spagna, che va dai primi del
1500 fino alla fine del 1600). Oberto amplierà i territori della famiglia fin
nell’alta Val Nervia.
Nel XIV secolo il castello sarà al centro di aspre lotte tra fazioni guelfe e ghibelline: la famiglia Doria ghibellina e quindi alleata all’imperatore, subirà due lunghi assedi: uno nel 1319 e l’altro nel 1329, orchestrati dal guelfo Roberto d'Angiò, Conte di Provenza, che conquistò i territori della Valle sconfiggendo la famiglia D’Oria. Essi diventeranno i suoi vassalli e, in seguito, il territorio passerà nelle mani della Repubblica di Genova.
Durante
l'aspro conflitto tra le fazioni guelfe e ghibelline e la rivalità fra la
famiglia Doria e i Grimaldi di Monaco, agli inizi del 1500, Dolceacqua si mise
sotto la protezione della casata Savoia (che la eresse in marchesato nel 1652).
Nel 1526 Bartolomeo Doria cedette al duca Carlo III di Savoia i propri diritti
feudali su Dolceacqua, diventando vassallo del duca. Quest’ultimo assicurerà la
protezione al feudo, anche grazie a nuovi accordi tra Stefano Doria ed Emanuele
Filiberto I di Savoia. Alla fine dell'età rinascimentale il castello diventerà
una grandiosa residenza signorile fortificata, con imponenti apparati
difensivi.
Agli
inizi del XVII secolo i rapporti tra le due famiglie iniziarono a incrinarsi.
Nel 1625 infatti, i Doria si schierarono con la repubblica genovese nella
guerra contro il ducato sabaudo. Nel 1744 il castello fu nuovamente teatro di
scontri e furiose battaglie per la sua posizione strategica, ritenuta essenziale
dall'esercito francese e spagnolo nella guerra di successione austriaca: lo conquisteranno
il 27 luglio del 1745.
Nel 1815 il territorio fu annesso al Regno di Sardegna e
nel 1861 al Regno d'Italia. Non più abitato dalla famiglia dei marchesi Doria,
che si trasferì nel cinquecentesco palazzo adiacente la chiesa parrocchiale, il
castello subirà gli ultimi oltraggi contro la sua imponente mole dal terremoto
del 1887. Dal 1942 il castello è proprietà del Comune di Dolceacqua.
Rocca Calascio
La regione Abruzzo
possiede un vasto patrimonio di castelli, le sue valli e le sue montagne sono
spesso costellate di fortilizi, torri e rocche che lasciano una forte
impressione sul visitatore, con il suggestivo sfondo del selvaggio panorama abruzzese. Un connubio storico-naturalistico che ci riporta indietro nel tempo
e il posto d'onore spetta a Rocca Calascio, situata in provincia dell'Aquila nel territorio del
comune di Calascio,
all'interno del Parco
Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Essa si trova a un'altitudine
di 1.460 metri ed è una delle rocche più elevate d'Italia, insieme
all'antico borgo situato alle sue pendici, fino a qualche anno fa disabitato e
oggi ristrutturato con la creazione di un rifugio-hotel.
La Rocca si fonde
con l'impervio territorio roccioso che la circonda, costruita in candida pietra
calcarea in cima a una cresta che domina la valle del Tirino e della piana di
Navelli. Da lassù, si può godere uno spettacolare panorama su Campo Imperatore
e sul Gran Sasso.
La sua fondazione
risale intorno all'anno 1000
(l’originale maschio oggi capitozzato forse era già di origine romana), anche
se il primo documento storico che ne attesta la presenza è datato 1380. La struttura
originaria era costituita da un torrione isolato di forma quadrata, il cui ruolo principale
era quello di essere torre di avvistamento per controllare il più importante
percorso tratturale aquilano, che passava sotto le sue mura. Alla rocca si
accedeva mediante un ingresso posto sul lato est, a circa cinque metri di
altezza, raggiungibile con una scala di legno che veniva poggiata su due
mensole in pietra, tuttora visibili al di sotto della soglia di ingresso. Il
fortilizio comunicava con i castelli e le rocche situate fino alla costa
adriatica, grazie all'ausilio di torce accese durante la notte o di specchi durante
le ore diurne.
Nel XIV secolo
divenne possedimento di Leonello Acclozamora, della baronia di Carapelle. Verso la fine del XV secolo
fu concessa da re Ferdinando ad Antonio Todeschini, della
famiglia
Piccolomini. Egli rafforzò la fortificazione dotandola di una
cerchia muraria e quattro torri. In questo periodo Rocca Calascio vide crescere
la propria importanza e il proprio peso economico e alle sue pendici si
sviluppò ben presto un piccolo borgo
cinto da mura.
Nel 1579 la famiglia fiorentina dei Medici
acquistò la Rocca e il vicino borgo di Santo Stefano di Sessanio, per estendere i
propri possedimenti e ampliare il commercio della lana.
Nel 1703 un
disastroso terremoto danneggiò sia la Rocca che il borgo. Restauri conservativi
ed integrativi sono stati compiuti tra il 1986 ed il 1989, contrastando il
degrado strutturale e favorendo il recupero architettonico e funzionale
dell'intero fabbricato, soprattutto della torre centrale quadrata. Gli
interventi permettono oggi di visitare l’area.
Michelle Pfeiffer sul set di Rocca Calascio |
Per chi volesse
fare un piacevole week-end o un soggiorno più lungo, potete scoprire il Rifugio
della Rocca. Ecco il link:
Erice, smeraldo sul mediterraneo
Oggi vi porto nella
nostra bellissima Sicilia, in provincia di Trapani. Siamo a Erice, abbarbicata
su un monte con il mare e il cielo che le fanno da splendida cornice.
Da lassù ecco si
vede la bella Trapani e gli sparsi gioielli delle Egadi, Castellammare del
Golfo e il monte Cofano. Secondo Tucidide (storico e militare ateniese) la
città fu fondata dagli esuli troiani che, fuggendo via mare da Troia distrutta,
avrebbero trovato rifugio sulle alture della costa siciliana. Una volta
sbarcati si unirono alla popolazione autoctona, fondando il popolo degli Elimi.
Per la sua posizione strategica Erice fu sempre contesa sino alla conquista da
parte dei Romani nel 244 a.C. Oggi il borgo ha mantenuto quasi intatto il suo aspetto
medievale e, percorrendo le sue strade acciottolare e in salita, si ha la
sensazione di immergersi nel passato.
Eryx per greci e
per i romani, fu sempre legata al culto della dea Venere. In posizione
dominante sorgeva un tempio dedicato dai Fenici ad Astarte, poi divenuto
santuario di Afrodite. Secondo Diodoro Siculo era il luogo dove Erice, uno
degli argonauti partiti alla conquista del vello d’oro insieme a Giasone, aveva
eretto un tempio dedicato alla propria madre Venere e fondato la città.
Nel corso dei millenni,
il culto della Venere Ericina a cui i marinai di passaggio erano devoti, grazie
anche alle bellissime prostitute sacre alla dea, le ierodule, crebbe insieme
alla sua fama e alla sua ricchezza. Protetta efficacemente la città accese
sempre l'interesse dei popoli del Mediterraneo. Tra questi i Romani che,
sconfitti i Cartaginesi, si appropriarono del luogo e del culto di Venere,
ricostruendo il tempio sulle rovine lasciate dalla guerra e riportando Erice
agli antichi splendori. A Roma venne eretto un piccolo tempio sul colle
Capitolino e poi, nel 181 a.C., ne sorse uno più grande, presso Porta Collina, entrambi
dedicati alla dea Ericina.
Fu posta
inoltre, a protezione del thémenos ericino, una guarnigione di legionari e le
città più fedeli della Sicilia dovevano sostenerne economicamente il culto.
Virgilio, nell’Eneide, scrive che Enea si fermò in questi luoghi per seppellire
vicino al santuario il padre Anchise, prima di veleggiare per il Lazio dove
avrebbe fondato Roma. Il mito legò i destini degli elimi con i romani, entrambi
discendenti di Venere, madre di Enea e di Erice.
Dopo il periodo
romano di massimo splendore la città fu dominio dei bizantini, poi dei saraceni
che le mutarono il nome in Gebel al Hamid, la collina di Hamid e poi ancora i normanni.
Ruggero d'Altavilla battezzò il borgo e il territorio Monte San Giuliano, in
onore del Santo, intervenuto a cavallo con una muta di cani per dar man forte
ai soldati cristiani contro i musulmani. Questi ultimi abbandonarono la rocca con
grande rimpianto ma sembra rimpiangessero ancora di più le donne di Venere: che Allah il misericordioso le faccia
schiave dei Musulmani scrisse nel 1185 Ibn Giubayr.
Sui resti
dell'antico santuario i Normanni edificarono il loro castello, fulcro di un
sistema difensivo che comprendeva le torri del Balio, da bajulo, così com’era
chiamato il magistrato che rappresentava il re e risiedeva con la corte nel
castello. Esso, costruito
sulla rupe del thémenos nel XII secolo, era collegato al piano più basso delle
torri da un ponte levatoio, poi sostituito dalla gradinata che, ancor oggi, si
percorre per raggiungerlo. Al suo interno sono stati rinvenuti e, purtroppo,
perduti, sia elementi architettonici databili alla ricostruzione medievale
della fortezza, sia frammenti del tempio in epoca romana. Dopo il periodo
normanno delle antiche torri restarono soltanto ruderi e la spianata, su cui i
cartaginesi avevano eretto le prime fortificazioni.
Alla fine del
XIX sec., il conte Agostino Pepoli concluse con l'amministrazione della città
un accordo, secondo il quale avrebbe bonificato a proprie spese l'intera area e
ricostruito le torri, che sarebbero rimaste di sua proprietà. Grazie
all'intervento del colto mecenate venne restaurata la torre pentagonale,
distrutta nel XV secolo, e la cortina merlata a protezione dell'area interna, e
venne realizzato il giardino pubblico all'inglese detto del Balio.
Quest'ultimo, insieme alla torretta che Pepoli fece costruire sul versante di
nord-ovest della rupe del castello, è oggi uno dei simboli della città di
Erice.
Sito del comune di Erice
Sito del comune di Erice
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